Il sacro è un verbo, non un sostantivo

La modernità non ha eliminato il sacro. Ha ricollocato il sacro confinandolo nelle coordinate dell’umano – in particolare il corpo maschile bianco, il suo principale avatar. Qui, nei vortici del rifiuto post/moderno di un mondo autoriale al di là dell’umano, all’interno del progetto antropologico, si trova un tempio dedicato al culto delle categorie del progresso, del dominio e del volo di Icaro. In un modo o nell’altro, tutti noi – anche quelli di noi capaci di criticare questo luogo di culto – siamo arruolati per servire questa disposizione delle cose, per pulire i banchi, per passare lo straccio, per guardare a bocca aperta i sacerdoti nel sancta santorum. Ma il sacro non viene trattenuto a lungo. Oggi, se ascolti, potresti sentire la presa tesa dell’umano che inizia ad ammorbidirsi mentre le nostre pretese di centralità si dibattono contro un argomento non umano convincente. Se ascolti ancora un po’, potresti persino discernere i caordici passi del sacro che migra dalla sua antica dimora, fischiettando mentre gironzola giù per i resti asfaltati del nostro mancato arrivo.

Il sacro è un fare, un muoversi. Un verbo, non un sostantivo. Non una proprietà. Non si “arriva” al sacro. Puoi solo avvicinarti al sacro. Meglio ancora l’approccio è il sacro. Quando poi diciamo che tutto è sacro, intendiamo dire che tutto si muove, tutto sgorga, tracima, cedendo la propria integrità. Intendiamo dire che ogni momento è gonfio di ciò che potrebbe ancora essere, e che l’ordinario è ciò che lo straordinario desidera essere. La via per il paradiso è dove si trova il paradiso.

Via Facebook 16.02.2021 e 13.10.2021

Immagine di copertina: ArteSella, Radice Comune by Henrique Oliveira – Ph Giacomo Bianchi