Siamo gli eventi nel loro metabolismo

Un mito vischioso dell’attivismo moderno è che siamo osservatori umani che guardano a un mondo di eventi preoccupanti da una distanza che ci consente di trovare soluzioni o porre domande pregnanti su quegli eventi critici. Le nostre comuni equazioni sul cambiamento sociale sembrano dare per scontata la perseveranza della soggettività e dell’agentività umana. Siamo pilastri nella tempesta di sabbia: il mondo al di fuori della nostra pelle può ruggire, dimenarsi e vorticare, ma noi siamo le calme interruzioni nel vento. Ed sono il nostro mondo interiore impenetrabile e la coscienza del libero arbitrio che porteranno ordine nel caos intorno a noi – se solo riusciamo ad agire insieme. Quello che non vediamo, però, è quanto siamo realmente fluidi, incoerenti e instabili. Ad esempio, con il problema del degrado ambientale, di solito non ci accorgiamo di come veniamo co-prodotti nel percolamento di pericolose tossine dai corpi acquatici negli oceani di plastica, come queste secrezioni non solo penetrino nel nostro corpo ma lo modifichino e come queste modifiche implicano che non siamo i puri arbitri della situazione. Siamo “nelle profondità” e dobbiamo rendere conto del fatto che anche il modo in cui vediamo il problema è parte del problema.

Nell’affrontare il razzismo e nell’articolare la giustizia razziale, spesso non riusciamo a notare che lo facciamo come soggetti appartenenti a luoghi di potere neoliberisti, che le nostre presunzioni sull’identità, i sentimenti di colpa e le costruzioni di giustizia sono istigate, mantenute e curate dalle stesse strutture materiali-sociali che vogliamo ribaltare. Spesso non ci accorgeremo che solo per il fatto di vivere in città la penseremo come la città; spesso saremo ciechi rispetto ai modi in cui i social media rielaborano la nostra tolleranza emotiva per il dissenso.

Insomma, per quanto riguarda i temi caldi del momento, non è solo che siamo colpiti da questi eventi, da questi problemi. È che SIAMO questi problemi nel loro continuo metabolismo. Il cambiamento climatico non è la vorticosa nuvola grigia fuori dal centro congressi costruito per combattere il cambiamento climatico. Il cambiamento climatico è la nuvola vorticosa, il centro congressi e il nostro attivismo. Siamo strettamente legati al mondo e nulla è assolto o al sicuro: né la memoria, né la cognizione, né i sentimenti, né l’azione, né il pensiero, né i nostri corpi. Ciò che è immediatamente evidente in questa “nuova” immagine è che spesso cadremo nei vortici rotanti della ripetizione. Presi da tautologiche economie del parlare, scrivere e praticare la responsabilità, riproduciamo spesso gli stessi effetti a cui vogliamo sfuggire, celebrando nel contempo quanto siamo innovativi e audaci.

Questo è il motivo per cui parlo di “postattivismo” – non come un allontanamento dall’attivismo, o una nuova epistemologia fiduciosa e un insieme di soluzioni alla sfida esistenziale dell’entanglement, ma come un’accettazione dei nostri corpi già transitori, tossici e preoccupanti. Il postattivismo indaga le condizioni materiali di come rispondiamo alle crisi, cosa rende tali risposte intelligibili o meno e a quali altre forme di agentività (umane e non/umane) possiamo prestare attenzione. Ciò che sembra chiaro è che dobbiamo dare riposo a quel corpo umano di attore senziente a lungo esausto, la cui nobile forma ha resistito ai feroci venti del cambiamento da quando siamo strisciati sulle superfici terrene. Ora dobbiamo considerare che siamo noi i venti mostruosi contro cui combattiamo: i tentacoli del mostro che sta al bivio della strada. Toccando i nostri corpi mostruosi e liberandoci dalle nostre ordinate configurazioni, chissà di cosa potremmo essere allora capaci.

Bayo a un commento:

Ciao Geoff. Il postattivismo – come lo esprimo – non è contrario alle domande su “cosa verrà dopo” o “cosa fare ora”. In effetti, si appoggia a queste domande per esplorare le loro materialità spesso scioccanti. Disturba quelle domande in modo che vengano notate altre possibilità e si vedano altre modalità di coinvolgimento. Questa non è quindi una ricerca di soluzioni, un algoritmo stereotipato per rispondere alle crisi o un percorso rapido per capire le cose. La nostra corsa alle “soluzioni” – giustificata dall’idea che noi esseri umani moderni siamo i responsabili e che dobbiamo agire con urgenza – è spesso cieca di fronte a quanto profondamente siamo radicati nelle realtà che affrontiamo e come riprodurremo quasi sempre quelle situazioni preoccupanti.

Come cittadino del cosiddetto “terzo mondo in via di sviluppo”, so fin troppo bene quanti progetti ben intenzionati provenienti dall’Occidente hanno lasciato le nostre terre ancora più ferite di quanto non lo siano già. Il postattivismo emerge così dall’etica che ci spinge a rallentare nei momenti di urgenza. Esorta i tipi di pratiche che ci portano a toccare i corpi e le strutture che ci incorniciano e ci producono, così come le crisi che affrontiamo. Si tratta di incontrare ostacoli, essere sfidati, essere sconfitti e lasciare l’autostrada per il sentiero tortuoso. Considererei molte pratiche oggi – come Futures Literacy, per citarne una – come postattiviste.

Aggiungo anche che il postattivismo non è un nuovo codice per interpretare tutte le situazioni di attivismo. Ci sono contesti che potrebbero non presentare le condizioni adatte per i tipi di lavoro che pian piano ci aprono ad altri modi di porre la tua domanda e ad altri territori di potere. Tuttavia, abbiamo un disperato bisogno di luoghi postattivisti di indagine. Siamo in gran parte bloccati, giriamo in tondo intorno a noi stessi e non siamo in grado di rispondere alle nostre domande più urgenti. Forse è perché stiamo facendo le domande sbagliate. Forse ciò di cui abbiamo bisogno non è nemmeno la risposta giusta, ma il dono dello smarrimento – la perdita che apre una grammatica completamente diversa dell’azione, che non avremmo mai immaginato possibile.

Di Bayo Akomolafe

Testo originale https://radicaldiscipleship.net/2019/03/03/this-is-why-i-speak-of-postactivism/
Traduzione Rebecca Rovoletto
Originariamente pubblicato sui social media il 26 febbraio 2019