La scandalosa tresca

C’è un sottile ma pervasivo anti-intellettualismo che a malapena si registra al di sopra del frastuono discorsivo controculturale e della ritrovata affinità per tutto ciò che è indigeno e non occidentale. Tuttavia è degno di nota. Questo anti-intellettualismo è un rifiuto (o una diffidenza) nei confronti della ‘testa’ e del suo dominio sul ‘cuore’. Probabilmente non se ne parla abbastanza, ma ora siamo tutti fatti di sentimenti e sensi e intuizione e altre forme di conoscenza. Che chiamiamo ‘cuore’.

C’è un buon motivo per questa scelta: con la metafisica occidentale, ancora in gran parte radicata nell’eredità illuministica che privilegia la razionalità al di sopra e al di là di altre modalità di conoscenza – e con l’evidenza di sempre maggiori connessioni tra l’intellettualismo illuminista e le crisi preoccupanti in cui ci troviamo oggi – molti si stanno muovendo verso la spiritualità, riconnettendosi con la terra e guardando con sospetto tutto ciò che suona o sembra rigore intellettuale. Quando diventa troppo impegnativa, un’idea viene spesso etichettata come una questione di ‘testa’. Il ‘cuore’ – strettamente associato alla cultura, ai mondi indigeni, al sacro, all’incanto, al femminile, allo ‘spirito’, all’’energia’ e in generale al tipo di approccio che ci sentiamo chiamati ad assumere oggi – è invece il posto in cui risiede questa energia. Il mondo accademico, preso dalle sue economie di autoreferenzialità e dal consueto ignaro sguardo all’ombelico, ha prodotto conoscenze e linguaggi che ne alienano e allontanano le persone. Quindi il sacro è solitamente dissociato dall’intelletto. Quando entra la filosofia, la gente esce. Troppe parole.

Ma persiste un binarismo inutile nel delimitare la testa e il cuore, come se l’intelletto fosse qualcosa di separato dall’affetto. O come se l’unico modo per comprendere il lavoro intellettuale fosse attraverso le pratiche e i prodotti dell’accademia occidentale. Ci sono altre filosofie e storie non occidentali, eredità e discipline rigorose non meno intellettuali e non meno sacre. Queste sono in gran parte rese invisibili dalla “imponenza” delle filosofie occidentali.

Forse la cosa più importante da osservare è che il pensiero non è antispirituale o antitetico rispetto agli shift che stiamo notando oggi. I non-occidentali non possono permettersi il lusso di abbandonare il ‘buon pensiero’. Abbiamo bisogno di pensare in modo potente; dobbiamo pensare eticamente; dobbiamo pensare con un occhio per i nostri figli e i nostri antenati. Bisogna pensare bene e attentamente a come pensiamo in merito a queste cose. Il lavoro di decolonizzazione – di prestare attenzione ad altre posizionalità che perturbano le rivendicazioni moderne di singolarità e stabilità – avrà bisogno non solo dei nostri corpi, delle tecnologie indigene, delle canzoni e dei giochi. Avrà bisogno di idee e concetti potenti, alcuni dei quali ci sfideranno.

Sì, possiamo rilevare come le epistemologie e le filosofie dell’Illuminismo tagliano fuori il corpo e il nonumano, centralizzando il soggetto umano pensante. La testa. Tuttavia, ritirarsi nel ‘cuore’ e archiviare la ‘testa’ significa rafforzare la stessa architettura illuministica che oggi sembra così problematica. È trattare con condiscendenza gli ‘indigeni’ supponendo di offrire loro il massimo rispetto. I cambiamenti in atto oggi non sono dualizzanti: sono gesti trasversali, secanti, incrociati, che mostrano come il cuore sia sempre stato intrecciato alla testa. E viceversa. Forse è nell’intestino che si incontrano entrambi.

Ferme restando le differenti e specifiche esigenze che emergono nei diversi contesti, spero sinceramente che le nostre comode pratiche di distinguere il cuore dalla testa siano irte di più difficoltà di quanto non lo siano attualmente. E che si arrivi a conoscere la scandalosa tresca che è sempre esistita tra pensiero e sentimento.

Bayo Akomolafe

Testo originale: https://www.facebook.com/adebayo.c.akomolafe/posts/pfbid02junpZWKxYquzbEfzwuxzwuFJgVqfFUY5rwwzgdwttGqephB1cz8L9KhmT7GgoFAvl